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- Scritto da Salvo Bella
Una maxi truffa nel settore immobiliare da Roma a Legnano è stata escogitata da un’organizzazione che promette in vendita case altrui a prezzi stracciati tentando di intascare cospicue caparre da ignari acquirenti, illusi anche di poter saldare il prezzo in trent’anni senza interessi.
Nel mirino è finita una società nata da pochi mesi con la finalità di comprare case, per poi rivenderle, fra Milano, Roma, Asti e Cagliari. Nella rete sono caduti proprietari che avevano messo in vendita propri immobili, fra i quali professionisti. Contattati dall’organizzazione, hanno ricevuto proposte di acquisto ma non le caparre stabilite nei contratti. Senonché la società, con massicce campagne pubblicitarie, ha offerto in vendita le stesse case a terzi acquirenti, a prezzi dichiarati miracolosamente di “svendita” e “choc”, assai inferiori a quelli di mercato e di acquisto, da pagare con cospicuo anticipo e il resto a piccole rate; ma ai compratori, che sono i principali truffati, non potrà trasferire, non avendola acquisita, la proprietà, se non eventualmente attraverso falsi e sostituzioni di persona.
Il sodalizio va vantando molteplici operazioni immobiliari inesistenti, ma in realtà in nove mesi, da quando esiste, secondo le risultanze all’Agenzia delle Entrate ha comprato con rogito notarile solo due immobili, uno a Roma e l’altro a Milano, rivendendoli subito dopo. Sul web vengono pubblicati tuttavia complimenti di molte persone - forse inesistenti - che scrivono di avere felicemente acquistato o venduto una casa; ma verosimilmente sono ignare di avere avuto solo un contratto preliminare.
Il meccanismo fraudolento, nel quale sono coinvolte decine di persone, in gran parte identificate, è emerso da innumerevoli proteste e segnalazioni in vari siti internet e in quelli della stessa organizzazione: vi si annunciano azioni giudiziarie, che risultano già in corso in Lazio e in Lombardia fra Milano, Legnano e Busto Arsizio.
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- Scritto da Diego Garrone
Un cronista di nera ha presentato un esposto alla Commissione parlamentare antimafia e a quella regionale di Palermo perché l’Ordine dei giornalisti di Sicilia l’ha escluso dall’elenco degli iscritti da premiare con medaglia d’argento per i trentacinque anni di carriera.
Protagonista involontario della vicenda è il giornalista e scrittore Salvo Bella. Iscritto all’Albo dal 1972, è perciò prossimo a ricevere anche la medaglia d’oro per il cinquantenario; ma intanto per quella d’argento - che gli spettava quindici anni fa - ha chiesto inutilmente spiegazioni della strana dimenticanza al presidente dell’Ordine, senza tuttavia averne.
“Per ottenere il riconoscimento, che è automatico, non bisogna essere – commenta Bella - figli della gallina bianca; ma esserlo della nera crea forse qualche grave imbarazzo”.
Il giornalista sostiene nell’esposto che negli anni in cui era redattore del quotidiano “La Sicilia” l’Ordine, a differenza di molti organi istituzionali, non espresse mai una parola di solidarietà quando subiva minacce di morte e danneggiamenti gravi, che determinavano problemi per il libero esercizio della professione oltre a mettere a repentaglio la sua vita e quella dei suoi familiari. Erano fatti dei quali si occupavano anche la Commissione parlamentare antimafia presieduta dall’on. Luciano Violante e la stampa. Nei medesimi anni, tuttavia, lo stesso Ordine si sarebbe affrettato invece a manifestare sdegno per qualche piccola bruciacchiatura ad auto di collaboratori di paese che si occupavano di temi innocui. L’Ordine sarebbe rimasto muto anche quando, nel 1987, il quotidiano “La Sicilia”, a seguito di minacce, chiuse assai anticipatamente la sua inchiesta sulla mafia che aveva annunciato in 72 pagine. Questi e altri fatti sono raccontati da Bella nel suo nuovo libro, appena uscito, “Nera. Cinquant’anni di giornalismo in trincea tra mafia e poteri: cronisti, delitti, retroscena”.
Presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia è attualmente Giulio Francese, figlio di Mario, il cronista ucciso a Palermo dalla mafia il 26 gennaio 1979. Ciò, secondo Salvo Bella, “avrebbe dovuto indurlo a manifestare senza indugio sensibilità – e per le funzioni e a titolo personale.– verso un cronista che per decenni ha subìto persecuzioni a causa della sua lotta contro la criminalità. Invece ha taciuto pur essendo passati tre lustri e non giorni da quando l’Ordine avrebbe dovuto attribuirmi il riconoscimento conferito a tutti i colleghi che avevano maturato i 35 anni di carriera, tranne a me. L’accaduto assume rilievo di interesse pubblico per la specificità del lavoro da me svolto e per il senso politico della dimenticanza nonché della discriminazione e del successivo silenzio colpevole”.
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- Scritto da Super User
Partì probabilmente dalla questura l’ordine di uccidere a Catania l’ispettore capo di polizia Giovanni Lizzio, assassinato la sera del 27 luglio 1992. A quasi trent’anni dal delitto lo sostiene nel suo nuovo libro “Nera” Salvo Bella, cronista storico catanese, al quale Lizzio l’aveva confidato prima di cadere nell’agguato di due killer.
Il giornalista scrive che “Lizzio aveva operato brillantemente da sottufficiale alla sezione omicidi sotto la direzione del vice questore Tony Ganci, in un manipolo di agenti impegnati giorno e notte con coraggio contro la malavita e anche con ottimi risultati. Intervenuto un avvicendamento a capo di quella sezione, s’era però appalesato sempre più un tentativo di obnubilamento della popolarità e del prestigio di Lizzio, limitandone in vari modi l’operatività. Questa situazione era nota in questura”.
Nell’immediatezza del delitto, Bella rivelò subito che l’ispettore gli aveva annunciato che stavano per ucciderlo e che l’ordine era stato dato da un funzionario di polizia.
Le conclusioni processuali, sulla base di rivelazioni di pentiti, hanno attribuito al capomafia Benedetto Santapaola il ruolo di mandante, ma secondo Bella “non ci furono indagini approfondite negli ambienti di polizia, che evidenziavano l’ipotesi di un possibile movente”.
“Giovanni - scrive il giornalista - non aveva però avuto una suggestione nel predire il suo assassinio; e mi inquietano da allora le sue ultime parole drammatiche”.
Bella confermò in ripetuti interrogatori i contenuti della drammatica conversazione che aveva avuto con Lizzio, ma non vennero mai fuori dei nomi, che potrebbero adesso saltar fuori.
Il caso Lizzio è affrontato da Salvo Bella nel suo libro “Nera” – appena pubblicato da Gruppo Edicom - con retroscena su una serie di delitti dei quali, prevalentemente in Sicilia, s’è occupato negli ultimi cinquant’anni. Con nomi e cognomi, il giornalista mostra in una luce inedita personaggi anche delle istituzioni, brutture, misteri.
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- Scritto da Salvo Bella
Le pagine con rivelazioni sull’omicidio dell’ispettore capo di polizia Giovanni Lizzio, commesso a Catania la sera del 27 luglio 1992, sono state fatte sparire per motivi oscuri dall’archivio storico del giornale “La Sicilia”.
L’edizione del 28 luglio, consultabile online a pagamento, pubblicava in prima pagina la notizia dell’assassinio con titolo a nove colonne, rimandando ai miei articoli sul delitto in pagine all’interno. Senonché proprio tali pagine, a differenza delle altre cinquanta e più, comprendenti anche le edizioni locali, sono state sorprendentemente rimosse.
Nei servizi di cronaca de "La Sicilia" - dov'ero redattore di nera - scrissi che Giovanni Lizzio nelle settimane precedenti aveva avuto con me una conversazione drammatica. Passato in questura dalla sezione omicidi a dirigere la squadra antiracket, mi aveva svelato che avevano commissionato la sua uccisione: una vicenda rimasta oscura. Ma proprio quelle rivelazioni potrebbero fare riaprire ancora, pur a distanza di oltre 28 anni, una storia criminale molto inquietante. Che le pagine del giornale con quegli articoli non sono più consultabili ostacola approfondimenti criminologici ed è un’offesa alla memoria del poliziotto assassinato.
Una censura? un errore? Il quotidiano, da me informato, omettendo anche di rispondere non ha offerto alcuna spiegazione sui motivi dell’anomalia.
Già in passato, nel 1987, mentr’ero minacciato di morte e subivo gravi danneggiamenti, il quotidiano “La Sicilia” aveva interrotto a metà la mia inchiesta sulla mafia che aveva annunciato in 72 pagine e fu poi recepita dalla commissione parlamentare.
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- Scritto da Salvo Bella
Il criminologo Carmelo Lavorino e il medico legale Antonio Della Valle stanno svolgendo nuove indagini sul misterioso caso di Viviana Parisi e del figlioletto Daniele Mondello, spariti il 3 agosto a Caronia subito dopo un incidente stradale e ritrovati a distanza di giorni cadaveri nel bosco. Si annuncia una probabile svolta nel giallo: fra una decina di giorni, infatti, gli esperti potranno effettuare l’ispezione delle salme, ancora a disposizione dell’autorità giudiziaria.
La procura della repubblica di Patti ha accolto una istanza degli avvocati Pietro Venuti e Claudio Mondello per conto della famiglia, i quali avevano chiesto e hanno ottenuto di potere accedere ai dati e ai rilievi preliminari dei consulenti tecnici del pm - fotografici, filmici e documentali - ed ai resti dei corpi di Viviana e Gioele, al fine di ispezionarli visivamente, filmarli e fotografarli.
“Fra il 19 ed il 20 gennaio - ha dichiarato il criminologo - il team di esperti arriverà in Sicilia, sia per effettuare l’ispezione delle salme, sia per effettuare ulteriori accertamenti nei boschi di Caronia, proprio dove sono stati rinvenuti i resti del bambino ed il cadavere della dj torinese. Il tutto è in un’ottica di collaborazione per la ricerca della verità: non potremo permettere, infatti, che restino dubbi su cosa sia realmente accaduto”.
La famiglia di Viviana non crede all’ipotesi, avanzata in via principale dai magistrati, secondo la quale la donna avrebbe ucciso il figlioletto e si sia poi tolta la vita lanciandosi da un traliccio. I periti avrebbero finora sostenuto che le fratture rilevate sul corpo della donna sono compatibili con una caduta dall’alto, ma per altri versi appare da escludere - e non solo improbabile – che la dj possa essersi arrampicata su un traliccio rovente, sul quale non sono state trovate tracce che avvalorino tale ricostruzione.
Evidente è che i pareri di compatibilità con l’ipotesi omicidio-suicidio non forniscono prova di ciò che è realmente accaduto il 3 agosto nel bosco di Caronia: cioè una sequenza di fatti ed eventi apparentemente complessi in una scena popolata da animali selvatici e dai loro proprietari. Resta perciò in piedi l’ipotesi alternativa che Viviana Parisi possa essere stata assassinata.
Carmelo Lavorino, criminologo storico italiano, il cui nome è legato a importanti indagini su casi giudiziari ormai entrati anche nei libri, parte con le sue indagini puntando a una ricostruzione dei fatti dall’inizio. I tasselli del giallo, che per gli inquirenti sembravano incastrarsi bene, saranno perciò rivalutati uno per uno e potrebbero emergere dei colpi di scena.
Altre indagini sono frattanto in corso da parte di un secondo pool con gli avvocati Nicodemo Gentile e Antonio Cozza, incaricati dai genitori di Viviana Parisi.
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- Scritto da Salvo Bella
Mancava poco all’alba dell’11 ottobre 1985 quando a Sigonella, insieme col fotografo Benedetto Spada, scampai al fucile puntato di un aviere che mi aveva scoperto all’interno della base militare, dove a mezzanotte ero riuscito a introdurmi aggirando gli schieramenti di sicurezza e a osservare a soli cinquanta metri di distanza il confronto armato italo-americano attorno all’aereo egiziano con terroristi a bordo “atterrato” da quattro F-14.
La drammatica vicenda, passata alla storia come “la notte di Sigonella”, conseguenza del dirottamento terroristico della nave Achille Lauro, mi coinvolse in uno scenario inquietante. Pochi minuti prima della mezzanotte del 10 un alto ufficiale, coinvolto con incarichi di comando, mi avvertì di ciò che stava per accadere da lì a poco.
Mani alzate all'alt dei militari americani e italiani
Feci armare di teleobiettivi e cannocchiali il fidatissimo fotografo. A Sigonella le strade che costeggiano le basi erano chiuse da transenne. Si udiva fortissima una sirena e da un casotto uscivano militari correndo. Al primo posto di blocco c’erano militari americani, con i fucili a pompa Winchester che agitavano in mano tenendo nell’altra una bottiglia di birra. Mi parvero e senz’altro erano ubriachi. Gridavano facendo cenno di andar via, con ampi gesti eloquenti. Alzammo entrambi le braccia, ma riuscii a mostrare il tesserino di giornalista a una donna di colore in uniforme, con mostrine che nemmeno decifrai. Non so come e perché, ma quella donna alzò la sbarra e ci lasciò passare con l’auto.
Leggi tutto: Notte di Sigonella, scampati 35 anni fa al fucile di un aviere
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- Scritto da Salvo Bella
“Ma che fanno questi nel piazzale, come cercano il bambino?”: non aveva torto Daniele Mondello a lamentarsi, al punto da doversi dedicare personalmente alle ricerche del suo Gioele nei boschi di Caronia, dove il 3 agosto era sparito in braccio alla mamma Viviana subito dopo un incidente sull’autostrada Messina-Palermo. Tutti hanno fallito, ma non un carabiniere in congedo accorso lì stamani all’alba da volontario: gli sono bastate poche ore tra i fitti cespugli per scoprire finalmente i poveri resti del bambino, poco distante dal traliccio accanto al quale era stato trovato una decina di giorni fa il cadavere della madre.
Prefetto di Messina e procuratore di Patti avevano assicurato che la zona interessata nei boschi dei Nebrodi era stata ispezionata e soprattutto che era stata passata come al setaccio l’area attorno a quel maledetto traliccio. Oggi è evidente, però, che nessuno, negligentemente, aveva indirizzato lì i cani specializzati fatti giungere con gli agenti da Palermo e anche da Malpensa, i più sensibili e addestrati che si conoscano per fiutare tracce di sangue e di cadaveri anche sepolti metri sotto terra.
Leggi tutto: Gioele, il fiuto di un carabiniere mortifica gli esperti
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- Scritto da Salvo Bella
Mezz’agosto favorisce sulla stampa, scritta e parlata, il montaggio di gialli fantastici, utili per colmare carenza di notizie e captare l’attenzione di chi, non andando in vacanza, si appassiona a cimentarsi in attività di detective. La morte della dj Viviana Parisi a Caronia - e a quanto pare anche del figlioletto – ha turbato l’opinione pubblica per la tragicità del fatto, che una serie di montaggi successivi ha però trasformato in una vicenda inquietante, precipitando nel ridicolo le ricerche maldisposte dalla prefettura di Messina e il surplus di indagini della Procura di Patti.
La sparizione di una donna con un bambino in braccio era stata segnalata nell’immediatezza di un lieve incidente sull’autostrada Messina-Palermo. Lì era rimasta l’auto di Viviana, di cui il marito denunciò poche ore dopo la sparizione. In tali casi la prefettura dispone il piano di ricerche, affidandone l’esecuzione a un responsabile, che si avvale dell’intervento di personale e mezzi necessari e/o disponibili.
Ricerche: diligenza e tecnica in contrasto con evidenze
Lo scenario delle ricerche è stato quello dei Nebrodi, ma tuttavia in un tratto con vegetazione rada, privo della fitta boscaglia della quale s’è inappropriatamente elucubrato: proprio lì, infatti, gli alberi e i cespugli sono assai meno dei maiali selvatici che vi circolano in branco di giorno e di notte. Tutte le tecniche possibili sono state ragionevolmente messe in atto; ma a volte la diligenza e la tecnica restano purtroppo sterili se manca la capacità di indirizzarsi verso dove le evidenze suggeriscono. Ecco che dal ciglio dell’autostrada s’è proceduto a sezionare topograficamente il territorio limitrofo, procedendo per strisce ed allontanandosi sempre più dal punto della sparizione; proprio da questo, tuttavia, non c’erano varchi percorribili a piedi, anzi emergeva subito la presenza di sbarramenti alti e insormontabili. Così s’è operato come ha dichiarato da subito il responsabile delle ricerche sul campo, che scandalosamente aveva programmato per ultime le ricerche sul fronte opposto dell’autostrada, l’unico dal quale una persona poteva accedere al terreno sottostante. Proprio qui è stato infine trovato il corpo senza vita di Viviana, a poche centinaia di metri; ma troppo tardi.
Leggi tutto: Caronia: il giallo di Viviana è un montaggio ridicolo
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- Scritto da Salvo Bella
Il fiume Olona è stato di nuovo avvelenato, quintali di pesci e pantegane morti galleggiano nell’acqua a Legnano, nessuno ne rimuove le carcasse e allo scellerato attentato si aggiunge, ancor più pericolosa, l’inerzia delle autorità.
L’attentato non sarebbe mai potuto passare inosservato: odori pestilenziali si levano dalle carcasse lasciate a putrefare anche al centro della città nell’elegante specchio d’acqua antistante a un affollato centro commerciale.
Grido d’allarme solo da un gruppo di Facebook
Qui la polizia locale ha in organico da 50 a 60 vigili; e ad essi si aggiungono i carabinieri della Compagnia, gli agenti del Commissariato, i finanzieri del Gruppo e la polizia provinciale, molti impegnati giorno e notte nel controllo del territorio. Sono stati però Franco Brumana, Maurizio Finocchiaro e Adriano Garbo Vettriano a levare il grido d’allarme nel loro gruppo pubblico di Facebook “Amici dell’Olona”. Moltissimi degli iscritti, che sono ben 16342, stanno intervenendo indignati documentando con foto allarmanti: immagini di un crimine orrendo, come quella di Adriano Garbo che pubblichiamo.
L’articolo 452 bis del codice penale prevede la reclusione da due a sei anni per chi inquina acque; e le pene sono più aspre per chi causa anche, come in questo caso, la morte della fauna. Ma già prima dell’introduzione della norma, avvenuta nel 2015, era possibile perseguire i responsabili di disastri ambientali.
Insediamenti artigianali e industriali sulle rive
Il problema non è, tuttavia, delle norme, bensì della mancata prevenzione. L’Olona nasce nel Parco regionale Campo dei fiori in provincia di Varese e si snoda verso sud per una settantina di chilometri. Durante il percorso, nei vari Comuni che attraversa, è avvelenato da scarichi di insediamenti artigianali e industriali che andrebbero fatti sloggiare dalle rive; e dovrebbero provvedere i Comuni. Non è inoltre da escludere che scellerati sversino nel fiume autobotti di rifiuti chimici velenosi.
Il crimine, dunque, è annunciato e non è la prima volta che si registri un attentato ambientale come quello di questi giorni. Sono sempre stati volontari ad adoperarsi per il risanamento delle acque, per amore nei confronti di un fiume che nel Milanese, proprio a partire da Legnano, ha una storia importante di mulini e attività agricole oneste.
Un lassismo scandaloso fa comodo a chi delinque
Oggi si raggiunge il culmine con un lassismo scandaloso. Il Comune di Legnano è attualmente amministrato da una commissaria straordinaria, alla quale preliminarmente incombe l’obbligo di intervenire e provvedere in presenza del pericolo attuale per la salute pubblica: il che vuol dire rimozione immediata degli animali morti, onde contenere il rischio di più gravi contaminazioni, compresa quella atmosferica. Ma anche altri enti hanno incombenze: l’Asl, la Regione e comunque l’Arpa, persino la Protezione civile.
L’opinione pubblica, inoltre, non sa tuttora quali siano state le cause della strage di pesci ed enormi topi, se siano stati effettuati prelievi ed analisi, se sia stato localizzato il tratto di fiume nel quale, a nord di Legnano, è avvenuto l’avvelenamento. L’accertamento della sostanza velenosa permetterebbe di evidenziarne in linea generale la provenienza e di sviluppare accurate indagini delle forze dell’ordine nel tentativo di identificare i responsabili. L’esperienza rivela però che c’è poco da sperare: il fiume fa comodo a chi vuole servirsene da latrina, gli interessi posso essere molteplici e dunque nessuno vede e nessuno sa.
Con gli “Amici dell’Olona”, però, prepariamoci alle ronde.
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- Scritto da Salvo Bella
Hanno avuto la forza di ribellarsi alla violenza dei compagni: non sono eroine, ma cinque donne delle numerose vittime di maltrattamenti, le cui storie drammatiche vengono raccontate da Solidea Valente nel suo nuovo libro, appena uscito, dal titolo emblematico “L’odore del sangue” (disponibile da Amazon).
La narrazione di situazioni di grande sofferenza trascina il lettore con un linguaggio immediato e testimonianze in presa diretta, tipico della Valente, che nella poliedrica attività di criminologa e autrice teatrale annovera in particollar modo specifiche competenze sul grave fenomeno dei femminicidi. Fra le testimonianze delle cinque protagoniste si intercalano perciò carrellate con analisi degli effetti della violenza e degli strumenti per prevenirla ed eventualmente contrastarla. Sembra così in pratica di assistere a un film, nel quale le protagoniste sono donne vere.
Il libro è arricchito da una utilissima appendice, contenente un test per aiutare le donne a capire se nella loro relazione si evidenziano segnali di rischio.
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- Scritto da Salvo Bella
Il caso di Milena Sutter potrebbe essere riaperto a quasi ciquant’anni dal delitto con una revisione del processo. Lorenzo Bozano, che è stato condannato per l’omicidio, dopo essersi sempre protestato innocente dice ora di sapere chi è l’assassino e fa un nome.
Milena Sutter fu rapita a tredici anni il 6 maggio 1971 e trovata dodici giorni dopo in mare, strangolata. I sospetti su Lorenzo Bozano, allora di 27 anni, sorsero perché aveva una spider rossa uguale a quella che prima del rapimento era stata vista aggirarsi nei pressi della scuola frequentata dalla ragazza. Gli elementi a suo carico non risultarono però sufficienti, tanto che la Corte d’Assise lo assolse; ma la sentenza fu poi ribaltata nettamente in appello con la condanna all’ergastolo, diventata definitiva in Cassazione.
Le indagini avevano anche cercato a suo tempo di appurare, ma senza esito, a chi si riferisse la frase “I love Claudio” scritta da Milena nel suo materiale scolastico. Ora è proprio su questo mistero che Lorenzo Bozano apre uno squarcio: “So – dice – chi è Claudio. Lui è il biondino della spider rossa, lui è l’assassino”.
L’ipotesi di chiedere una revisione del processo è ora all’esame dell’avvocato romano Paolo Loria, che assiste Bozano.
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- Scritto da Super User
Non partecipava ad assembramenti né voleva divertirsi, ma andava in bici in un pollaio di fiducia a comprare quattro uova fresche per la madre; e questo sacrilegio è costato una multa di quattrocento euro a un cittadino di Legnano, perché si era spostato nel paese limitrofo di Cerro Maggiore, confinante con la sua casa.
Paolo Macchi, segretario del Siulp, il sindacato di polizia, ha protestato nei giorni scorsi per l’impiego massiccio di forze dell’ordine a controllare per strada il corretto uso delle discutibili mascherine antivirus o di guanti, o a misurare le distanze interpersonali: “Vogliamo dare la caccia ai delinquenti, non ai pensionati”.
Nel circondario di Legnano – dove operano in silenzio cosche di ogni tipo e dilaga lo spaccio della droga - non c’era mai stata per le strade la disponibilità di innumerevoli pattuglie, che come per miracolo sono invece sbucate dal nulla armate di tutto punto ad elevare contravvenzioni.
Proprio qui si registra l’esempio esplicativo del cittadino multato dai carabinieri per essersi recato nel paese vicino ad acquistare beni alimentari di prima necessità da fornitori abituali, non reperibili altrove.
Già il 2 maggio, data del fatto, il governo aveva chiarito con circolare che era possibile uscire dalla località di residenza per fattispecie come quella.
“Mi ero recato - dice il malcapitato - a comprare quattro uova fresche dal coltivatore che ha il pollaio. Ho detto ai carabinieri la verità, cioè che servivano a casa per mia madre e avevo evitato che uscisse perché è molto anziana e ammalata. Al supermercato, peraltro, erano quasi introvabili, ne erano rimasti solo un paio di scatoli agli antibiotici e con data di scadenza imminente. Ho pure mostrato inutilmente la borsa della spesa con i portauova, non avevo chissà che! Ho compiuto insomma un atto doveroso; non credo di meritare un plauso, ma una multa di 400 euro per quattro uova è ingiusta. Ho scritto gentilmente all’Arma dei Carabinieri, auspicando che il verbale venga annullato d’ufficio”.
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Un uomo accusato di avere abusato dei due figlioletti, ma assolto dal tribunale di Torino perché il fatto non sussiste, ha potuto ottenere il rientro dei bambini che gli erano stati tolti. Si era sempre protestato innocente, ma ha dovuto tribolare per ottenere giustizia.
La vicenda giudiziaria aveva tratto origine da contrasti fra due coniugi e portato sin da cinque anni fa a controversi provvedimenti. I due minori, nelle more processuali, erano stati in alcune case famiglia.
Anche il nonno, coinvolto nelle accuse, è risultato innocente.
La materia di discussione e gli sviluppi processuali avevano determinato un rilevante interesse pubblico, accresciuto infine dalle conclusioni assolutorie e dal lungo tempo trascorso per accertare l’infondatezza dei gravi addebiti.
Abusi su minori a Torino: no del giudice all'archiviazione chiesta dalla Procura
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I rischi per la diffusione del coronavirus a Milano dovrebbero portare d'urgenza a sospendere le limitazioni alla circolazione automobilistica, così da limitare l'uso dei mezzi pubblici: lo sostiene il giornalista e scrittore Salvo Bella, che ha lanciato una petizione (https://www.change.org/p/giuseppe-sala-coronavirus-abolire-a-milano-i-divieti-per-le-auto?recruiter=236581656&recruited_by_id=9115daa0-b83a-11e4-9392-d90445d258dd&utm_source=share_petition&utm_medium=copylink&utm_campaign=petition_dashboard) rivolta al sindaco della metropoli Giuseppe Sala.
Divieti e limitazioni alla circolazione delle auto a Milano costringono svariate migliaia di persone ad affollare i mezzi pubblici, nei quali è impossibile mantenere la distanza minima di un metro disposta dal Governo per limitare la diffusione del coronavirus. Chi ha bisogno di recarsi nella metropoli deve poterlo fare preferibilmente con la propria auto di qualsiasi tipologia, limitando così estremamente i contatti e i conseguenti pericoli per la salute propria e altrui, ritenuti dalle autorità sanitarie assai più gravi e preoccupanti dei problemi causati dall'inquinamento atmosferico.
Agli opportuni provvedimenti di chiusura di scuole e luoghi di assembramento o ritrovo deve corrispondere perciò la volontà di limitare con urgenza l'uso di bus, metropolitane e treni; e per ottenere ciò occorre che ognuno debba potersi spostare con la propria auto.
Si ritiene dunque opportuno che il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, sospenda senza altro ritardo divieti e limitazioni per la circolazione automobilistica nella metropoli.
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