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- Scritto da Super User
Una violenta campagna di odio contro magistrati e giornalisti
Sostenitori dell’innocenza di Massimo Bossetti, all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, sono accusati di avere oscurato a Vicenza con un attacco hacker il server di un sito internet, vittima la nostra rivista online “Il Delitto”, con sede a Legnano, che ha denunciato oggi alla Procura della Repubblica di Busto Arsizio 29 persone per interruzione abusiva di sistema informatico, minacce, diffamazione aggravata e sostituzione di persona.
Per impedire la connessione al sito della rivista sono stati effettuati attacchi di tipo DDoS (distributed denial of service), che, scavalcando ogni protezione, puntano a rendere irraggiungibili e inutilizzabili interi data center e reti di distribuzione dei contenuti, facendo diventare inaccessibile per ore, giorni e in alcuni casi anche settimane un servizio online.
L’attacco è stato rivendicato pubblicamente dagli stessi autori, che nel criticare la rivista “Il Delitto” per i suoi servizi sull’assassinio di Yara Gambirasio vantavano di “atterrare il server per una settimana”.
Leggi tutto: “Amici” di Bossetti oscurano un sito internet: 29 denunciati
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- Scritto da Salvo Bella
L’aggressione selvaggia al giornalista Daniele Piervincenzi ad Ostia è il risultato di una escalation allarmante di minacce che sono diventate ormai una prassi. Il ministro degli Interni Marco Minniti ha esultato per il rapido fermo dell’aggressore, ma si richiede che cambi la linea disponendo che prefetti e uffici di polizia non impediscano più che i cronisti di nera circolino armati per la loro difesa personale.
Sono almeno 256, secondo Ossigeno per l’Informazione, i professionisti minacciati; ma il numero è in realtà molto più alto poiché spesso si rinuncia a denunciare i reati, non potendo confidare nei tempi, estremamente lunghi, della giustizia.
L’aggressione di Ostia avrebbe potuto avere conseguenze tragiche, per la violenza inaudita anche per contesto pericoloso di mafia nel quale si è verificato.
Nel tempo i governi hanno reso inefficace una circolare che disponeva, in presenza dei requisiti di buona condotta, il rilascio del porto d’armi per difesa a specifiche categorie di cittadini, fra le quali quella dei giornalisti di professione specializzati di cronaca nera e giudiziaria, ritenuti a rischio elevato per il solo fatto dell’attività svolta. Negli ultimi anni è intervenuto invece l’indirizzo governativo - che non trova alcuna spiegazione - di assoggettare la licenza, anche per i giornalisti, all’effettiva esistenza di elevato rischio per la sicurezza personale, affidato all’esclusiva valutazione dei prefetti, che a loro volta uniformano pedissequamente il parere a quello che viene espresso da uffici di polizia periferici, spesso abituati solo a dar la caccia a ladri di polli e non sempre in grado, perciò, di valutare correttamente.
Un commissariato ha persino ritenuto scandalosamente che ricevere minacce e un proiettile inesploso per posta non costituisce pericolo e l’ex vice ministro Filippo Bubbico ha avallato questa esilarante conclusione senza nemmeno spendere due righe di motivazione. Molti giornalisti di professione si trovano oggi nella difficilissima situazione di aver negato dopo quarant’anni il rinnovo della licenza con l’assurda motivazione “non ha bisogno di circolare armato”, pur con una storia recente e attuale di lavoro svolto su temi e fatti criminali di straordinaria gravità.
Ciò equivale a mettere il bavaglio o a smussare le penne, mentre le organizzazioni mafiose proliferano in tutta Italia, gli episodi di corruzione nella pubblica amministrazione dilagano e si registrano sempre delitti efferati che determinano divisioni nell’opinione pubblica e comportamenti aggressivi da parte di facinorosi che prendono di mira magistrati e giornalisti.
C’è da sperare che il ministro Minniti alle parole di conforto faccia seguire disposizioni urgenti perché ci venga restituito il diritto di difenderci senza dover fare salamelecchi a commissari sprovveduti.
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- Scritto da Salvo Bella
Gli attacchi in corso contro la conferma dell’ergastolo a Massimo Bossetti, ritenuto autore dell’omicidio di Yara Gambirasio, rientrerebbero in un piano eversivo di discredito della magistratura, ordito da una trentina di persone inguaiate in problemi con la giustizia, che cercano in tal modo, spacciandosi per vittime, di guadagnare solidarietà via internet. Tra i fomentatori della grave campagna di odio verso le istituzioni si annidano anche pregiudicati e soggetti in attesa di espiare la pena per condanne subite.
Chi sono i loschi figuri che cospirano anche in riunioni segrete
I cosiddetti innocentisti o bossettiani sono sparpagliati in alcuni gruppi di Facebook gestiti in varie regioni e raccolgono sostanzialmente poche centinaia di persone, molte inconsapevoli di essere state irretite in un giro sporco alimentato da molteplici interessi. Interagiscono usando prevalentemente identità false, attraverso le quali conducono campagne diffamatorie, anche singolarmente attraverso le pagine personali, prendendo di mira a orari prestabiliti numerosi obiettivi, inclusi in una lista nera di soggetti indicati come autori o sostenitori di malagiustizia.
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- Scritto da Mario Schembari
Il gruppo “Forconi e pecore” ha smascherato un’associazione per delinquere “che sfrutta il social Facebook per commettere diversi reati, anche a minacciare e organizzare aggressioni fisiche”. L’ha rivelato l’amministratore dello stesso gruppo, pubblicando i post di una sedicente Laura Garda che con toni farneticanti incita a vendette e rivela di avere in corso una campagna di false segnalazioni contro “Forconi e pecore” per esserne stata espulsa.
Il gruppo ha subìto nelle ultime ore attacchi concentrici con segnalazioni multiple di razzismo a Facebook, un inimmaginabile complotto, tenuto conto del carattere generalista di “Forconi e pecore”, che essendo coordinato da un giornalista di professione pluridecano e scrittore, Salvo Bella, attinge esclusivamente alle fonti più prestigiose di informazione ed è storicamente allineato su posizioni antirazziste.
“La persona con nome Laura Garda - ha precisato l’amministratore - era iscritta a questo gruppo. Nel tempo dovetti eliminarne vari post razzisti con i quali incitava addirittura a sparare agli immigrati sostenendo che fossero tutti terroristi. Infine la espulsi poiché dopo varie diffide e sospensioni perseverava insieme con altri soggetti; in più avevo appurato che il nome è falso e non si sa chi vi si celi; in pratica potrebbe essere anche un criminale o un latitante. Da quel momento ha minacciato vendette personali e contro il gruppo, incitando, come si vede dai suoi post, altri a farlo”.
Laura Garda manifesta nel suo profilo ammirazione per l’avv. Claudio Salvagni, principale difensore del presunto assassino di Yara Gambirasio, Massimo Bossetti, e ha raccolto attorno a sé facinorosi innocentisti, coinvolgendoli nella campagna denigratoria per reazione ad alcuni post del gruppo che hanno dato necessario e corretto risalto alle motivazioni della sentenza di condanna depositata recentemente dalla Corte d’Assise d’appello di Brescia. Gli attacchi da parte innocentista contro “Forconi e pecore” e contro il giornalista imperversano su Facebook in vari spazi con toni accesi e minacce.
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- Scritto da ildelitto
Una foto satirica di Matteo Salvini è stata ritenuta razzista da Facebook, che l’ha subito rimossa dal gruppo “Forconi e pecore” e ha sospeso per 24 ore l’amministratore da qualsiasi attività.
L’incredibile decisione del social è di oggi pomeriggio. “Mi è apparso all’improvviso un messaggio di servizio - dice Salvo Bella, giornalista, amministratore del gruppo - e ad essere passato per razzista mi son sentito come preso dai turchi. Può essere stato solo un algoritmo mal combinato a determinare un errore così deprecabile”.
L’immagine incriminata era stata condivisa dal web, dove da tempo circola liberamente senza che alcuno abbia a dolersene, nemmeno lo stesso Salvini; e le parole contenute non hanno proprio nulla a che vedere con discriminazioni razziali, religiose o di altro genere: “Cercasi disperatamente voti terroni, visto che al nord son finiti i coglioni”.
In gruppi e pagine sono diffusi anche contenuti molto aspri, che denigrano pure sistematicamente corpi dello Stato come la magistratura, incitando all’odio e attentando in tal modo alle istituzioni; ma non vengono, inspiegabilmente, rimossi. Alla luce di ciò, tacciare di razzismo un giornalista per avere diffuso una frase ironica su un personaggio politico è esilarante.
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- Scritto da Salvo Bella
Non è solo l’uccisione di Yara Gambirasio a tenere desta l’opinione pubblica sul caso di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’orrendo delitto. Le motivazioni della sentenza di secondo grado puntano il dito anche su aspetti scandalosi di un “mercato” che l’imputato, su suggerimento dell’avvocato, gestiva dal carcere spingendo la moglie a concedere interviste per poter pagare la difesa; e i giudici esprimono enorme disappunto per i processi mediatici in tv con le apparizioni dei difensori.
“Il Delitto” aveva già documentato, prima che iniziasse il processo in Corte d’Assise d’appello, che gli imputati accusati di omicidio che s’erano difesi in tv erano stati quasi tutti condannati, mentre erano stati assolti in via definitiva quelli che s’erano limitati a difendersi nelle sedi giudiziarie. In sostanza l’impressione deducibile è che gli innocenti non hanno bisogno generalmente di sollevare attorno a sé polveroni per cercare solidarietà in parte dell’opinione pubblica.
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- Scritto da Il Delitto
Innocentisti e colpevolisti sul caso Massimo Bossetti si sono confrontati ieri sera in un dibattito nel gruppo di Facebook "Forconi e pecore", una opportunità che per la prima volta ha permesso di spiegare in modo del tutto pacifico le rispettive posizioni sul processo al muratore condannato all'ergastolo per l'uccisione di Yara Gambirasio.
L'iniziativa è partita da un invito del giornalista Salvo Bella a uno dei più convinti sostenitori dell'innocenza di Bossetti, Pietro Pagnoncelli, da tempo autore di varie iniziative, fra le quali un raduno di innocentisti avvenuto sabato scorso nel piazzale della stazione di Bergamo. Dopo aspre diatribe che avevano finora contrapposto duramente quanti, da posizioni diverse, si appassionano al caso giudiziario, la conversazione, con regole precise e assoluto divieto di attacchi personali, è partita su "Forconi e pecore" con una interlocutrice opposta non meno accanita, Emanuela Falcone, alla quale si sono aggiunti molti "colpevolisti" storici ma anche "amici" di Bossetti.
S'è discusso fino a tarda ora delle sentenze di primo e secondo grado e in particolar modo di dettagli rilevanti sugli indizi fatti valere in giudizio a carico di Massimo Bossetti e sulle varie ipotesi che l'impuitato possa essere rimasto vittima di un complotto. Il dibattito non ha fatto cambiare ad alcuno, com'è ovvio, le proprie convinzioni, ma ha confermato, come nelle premesse di "Forconi e pecore", che le contrapposizioni possono essere mantenute entro alti livelli di civiltà. Il gruppo consentirà la prosecuzione del confronto nelle serate di oggi e domani.
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- Scritto da Salvo Bella
Sostenitori dell’innocenza di Massimo Bossetti si incontrano sabato alle 14 alla stazione di Bergamo per una manifestazione, unica finora nel suo genere in Italia e prima di una serie di iniziative popolari che dovrebbero allungare la scia mediatica sulle vicende giudiziarie legate all’omicidio di Yara Gambirasio.
La conferma, in appello, della condanna all’ergastolo ha fatto ricredere buona parte di quanti credevano che il muratore di Mapello - il quale si protesta innocente - possa essere estraneo al delitto, ma non gli irriducibili. L’iniziativa di Bergamo è della blogger Pam Morrigan, giovane e battagliera, e di Pietro Pagnoncelli, sostenitore di Bossetti sin dal momento dell’arresto e definito da molti giudice o testimone del popolo. Entrambi sono stati in questi ultimi giorni al centro di diatribe, anche aspre, scoppiate in vari gruppi di Facebook apertamente schierati pro o contro, ma anche in altri tendenzialmente neutrali.
Gli organizzatori hanno spiegato: “Ci sembra doveroso dedicargli la marcia dei 100 passi per Bossetti. Non abbiamo paura di indicare gli errori di una magistratura e di una procura claudicanti nelle accuse. Non ci arroghiamo nessuna saccenza, abbiamo solo letto gli atti e questi bastano per far insorgere il ragionevole dubbio che porta all’innocenza di un uomo. Noi vogliamo solo la verità”. L’incontro ha pertanto il precipuo scopo di manifestare da un lato solidarietà all’imputato; di attaccare la magistratura requirente e quella giudicante che si è occupata, in vari momenti e diverse sedi, del processo; e di chiedere la ripetizione degli accertamenti sul dna rilevato negli slip di Yara, che ha incastrato Bossetti. Tali temi dovrebbero essere sviluppati in un discorso, ma non è noto se a tenerlo sarà l’avvocato Claudio Salvagni, principale difensore dell’imputato, il quale in un intervento a Radio Cusano Campus aveva annunciato la sua partecipazione; ma a ventiquattro ore dall’evento non è confermata la sua presenza.
Alcuni innocentisti che si dichiarano vicini al pool difensivo hanno definito la manifestazione sterile e da illusi, altri addirittura nociva per gli interessi di Massimo Bossetti: una presa di posizione sorprendente, anche ingenerosa nei confronti di Pietro Pagnoncelli, al quale va riconosciuto il coraggio di essersi messo in prima fila senza alcun interesse ma solamente spinto dal proprio bisogno di aiutare, a suo modo, un operaio inerme che considera vittima di una ingiustizia. Nei gruppi di Facebook si sono andate manifestando diverse linee, con distinzioni evidenti fra quanti si definiscono bossettiani oppure innocentisti o infine semplicemente garantisti; molti dei quali o hanno preso le distanze dalle scelte difensive o le ritengono viziate da un eccesso di protagonismo televisivo. Queste polemiche non potranno influire tuttavia in alcun modo sulla vicenda giudiziaria, nella quale si attende di conoscere, quando saranno depositate, le motivazione della sentenza d’appello che ha confermato l’ergastolo a Massimo Bossetti.
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- Scritto da Salvo Bella
Il consulente pro ignoto potrebbe eliminare delle falle nel sistema giudiziario, secondo i princìpi della criminologia dinamica del giudice drammaturgo Gennaro Francione, che ne parlerà sabato 23 settembre a Corsico in provincia di Milano al convegno “La prova scientifica e i nuovi orizzonti della biologia forense nelle investigazioni giudiziarie”. Il dna da solo, secondo Francione, è zero e molti indagati che si trovano in carcere, a partire da Massimo Bossetti, vanno assolti.
Alcuni eclatanti casi giudiziari (Meredith Kercher, Melania Rea, Elena Ceste, Guerrina Piscaglia, Roberta Ragusa, Yara Gambirasio, Sara Scazzi, Chiara Poggi etc.) hanno portato alla ribalta degli indiziati che continuano, pur arrestati, a proclamare la loro innocenza. La mancanza di prove certe e il fondarsi dei processi su elementi puramente indiziari hanno generato un pullulare in rete e in Facebook di gruppi contrapposti di innocentisti e colpevolisti: un vero e proprio cult dove tutti diventano giudici, criminologi, esperti, alimentato dai media cartacei e soprattutto televisivi, che dedicano il 70% della loro programmazione alla materia noir.
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- Scritto da Salvo Bella
Da mesi la madre aveva denunciato violenze e minacce, ma le sue richieste di aiuto erano rimaste sepolte fra le carte che la giustizia nemmeno legge; così in provincia di Lecce è morta Noemi Durini, assassinata da un giovane notoriamente violento che poteva e doveva essere fermato con tempestività. Appare risibile che il ministro Andrea Orlando disponga adesso accertamenti, col solito criterio di porre cancelli al tesoro di Sant’Agata dopo che è stato rubato.
La storia tragica di questa ragazza non è la prima né, purtroppo, sarà l’ultima. C’è una lunga serie di delitti che sarebbe stato possibile impedire se un governo serio avesse imposto agli uffici giudiziari il rispetto della legge con l’esame immediato di denunce ed esposti che pervengono, nell’ordine cronologico, anziché abbandonarle senza nemmeno leggerle perché riguardano poveri sconosciuti, per dare invece priorità a casi pruriginosi capaci di assicurare pubblicità sui media.
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- Scritto da Luana Campa e Salvo Bella
Omicidi efferati, aggressioni, fatti di teppismo e delitti vari sono sempre più filmati da telecamere diffuse nelle nostre strade, strumenti che sono risultati assai utili per svolgere indagini ma non sono serviti ad evitare i reati. La tecnologia adoperata per sostituire la vigilanza dell’uomo non rende il cittadino più sicuro, ma lo lascia ampiamente indifeso.
I delitti contro la persona, commessi con violenza inaudita contro le donne, allarmano giustamente l’opinione pubblica. In anni lontani la gente si sentiva meno in pericolo perché le strade e i luoghi di assembramento erano in qualche modo controllati da carabinieri e polizia, la cui presenza dissuadeva i malintenzionati.
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- Scritto da Salvo Bella
Le acque di un canalone illegale, che doveva essere in sicurezza da oltre dieci anni, hanno reso pericolante ad Alanno una casa, i cui proprietari si son dovuti accampare davanti al municipio, vittime di uno scandaloso balletto del potere. Scoppiato l’inghippo, spariscono documenti all’ufficio tecnico del Comune e il canalone diventa addirittura per i carabinieri come un fantasma risalente al 1940, ma balza fuori un progetto insabbiato in modo sospetto: vicende sulle quali anche il magistrato, tuttavia, ha sorvolato, archiviando un procedimento per omissione e abuso d’ufficio.
Sembra una storia di altri secoli, di quelli impossibili in un paese rispettabile col Comune retto da una amministrazione sostenuta dal Pd. Eppure è ciò che accade oggi ai coniugi Alessandra Marsilii e Francesco Roberto Cucinotta e ai loro tre figli, colpevoli solo di avere comprato nel 1999 un immobile con l’intento di realizzarci un bed & breakfast.
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- Scritto da Elisa Campolmi
La conferma dell'ergastolo a Massimo Bossetti riapre discussioni su gravi e oscuri depistaggi nel caso Yara Gambirasio, messi in atto sin dalla sparizione della ragazza. La denuncia era nel libro "Yara, orrori e depistaggi" del giornalista Salvo Bella, pubblicato da Gruppo Edicom a febbraio del 2014, quattro mesi prima dell'arresto del muratore con l'accusa di avere ucciso nel 2010 Yara.
L'inquietante documento, offrendo una serrata analisi del delitto, incentrava l'attenzione sull'interesse politico che c'era al momento delle indagini per allontanare i sospetti dalla zona del Bergamasco. Alcune testimonianze, secondo il giornalista, furono sbrigativamente bruciate e per tre mesi le ricerche furono orientate dalla polizia alla ricerca di una persona tenuta in ostaggio. Più volte il questore Vincenzo Ricciardi dichiarò davanti alle telecamere delle tv che avrebbe riportato Yara viva a casa. Come faceva ad affermarlo con apparente certezza?
Salvo Bella rispondeva a questo interrogativo ricostruendo la storia professionale del funzionario di polizia, che - pur prosciolto poi da ogni accusa - aveva avuto una parte non indifferente nel depistaggio sulla strage di Via D'Amelio a Palermo, nella quale morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.
"Le indagini - dice il giornalista - furono dall'inizio inquinate da situazioni ambientali pesanti. Bisognava offrire a tutti i costi all'opinione pubblica un assassino e possibilmente un extracomunitario. L'arresto del marocchino Mohammed Fikri, rivelatosi una bufala, la dice lunga sulla fregola che c'era. Se fino al 2013 le cose andarono a quel modo, non vedo perché non si debba pensare a una successiva colossale montatura contro il muratore Massimo Bossetti".
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- Scritto da Salvo Bella
Un appuntato dei carabinieri, Agostino De Pasquale, è stato perseguitato in Sicilia per un quarto di secolo, ma non dalla mafia e nemmeno per non avere sempre risposto ai superiori “comandi!”; ma perché li ha denunciato dopo aver visto delle cose nelle quali non avrebbe dovuto ficcar naso.
“Hanno cercato – dice – di farmi passare per pazzo e di mandarmi in galera. Ho vissuto venticinque anni di pene perché ho fatto il mio dovere e ancora ne pago ingiustamente le conseguenze”. Quest’uomo, che mantiene alto l’orgoglio di essere un militare, ebbe nel 1985 la ventura di essere comandato per il servizio di vigilanza alla Banca d’Italia di Trapani, un lavoro che richiede alto senso di responsabilità, perspicacia e attenzione a 360 gradi.
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