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Il Gip Anna Calabi di Milano ha ritenuto infondate le accuse di stalking e diffamazione che un sostenitore dell’innocenza di Massimo Bossetti, l’assassino di Yara Gambirasio condannato all’ergastolo, aveva rivolto contro la criminologa Roberta Bruzzone e il giornalista e scrittore Salvo Bella, chiedendone la condanna. Bella, attraverso il difensore avv. Calogero Agozzino, aveva chiesto l’incriminazione del querelante per manifesta calunnia; e il giudice, archiviando il procedimento, ha ordinato la trasmissione degli atti alla Procura.
La vicenda giudiziaria aveva tratto origine da scritti su Facebook sull’omicidio della signora Marilena Negri a Milano e su un video, diffuso dalla Squadra Mobile, ritraente il presunto assassino mentre si allontanava incappucciato dopo avere ucciso. In quel contesto interveniva la segnalazione su uno sconosciuto che diffondeva proprie immagini mostrandosi durante vari camuffamenti. Il misterioso personaggio aveva reagito minacciando di fare saltare in aria con una bomba il Bella, che l’aveva compulsato. Dell’intera discussione era stata data quindi notizia in un articolo del blog “Il Delitto”, condiviso poi da vari utenti di Facebook, fra i quali la criminologa Roberta Bruzzone.
A dolersi dell’accaduto è stato un attore dilettante, tale Eros Belotti, che, pur essendo del tutto estraneo alla discussione, riteneva di essere stato indicato come assassino della signora Negri e, essendo egli innocentista, sosteneva di sentirsi perseguitato attraverso scritti sulla colpevolezza di Massimo Bossetti.
Il pm Gianluca Prisco aveva chiesto l’archiviazione, alla quale il querelante, assistito dall’avv. Maria Antonietta Labianca, si era opposto, pur non indicando nuovi temi di indagine ma proponendo una “class action” contro la Bruzzone, perché sarebbe stata favorita, a suo giudizio, da magistrati in procedimenti a suo carico, finiti all’archivio. Dura, per la criminologa, era stata la replica dell’avv. Serena Gasperini.
Le conclusioni del Pm e dei difensori, discusse all’udienza del 13 febbraio, sono state ieri accolte dal Gip con ordinanza ampiamente motivata sull’infondatezza di ogni accusa, che determinerà ovviamente conseguenze: "Se alcuno pensa di intimidire i giornalisti con querele temerarie - ha commentato Salvo Bella - si sbaglia e ne risponde".
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Un attore pornografico che si definisce sostenitore dell’innocenza di Massimo Bossetti - il muratore all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio -, ha chiesto una “class action” di "innocentisti" contro la criminologa Roberta Bruzzone per atti persecutori. L’insolita richiesta è stata confermata stamani a Milano davanti al Gip Anna Calabi, dinanzi al quale il querelante ha trascinato per stalking e diffamazione, oltre alla Bruzzone, il giornalista e scrittore Salvo Bella.
La curiosa vicenda processuale ha tratto origine dalla pubblicazione di un libro e di resoconti giudiziari del giornalista sul caso Gambirasio, nonché da una discussione in vari gruppi Facebook sull’omicidio della signora Marilena Negri a Milano. Bella aveva compulsato nel suo gruppo di Facebook “Forconi e pecore” uno sconosciuto che, sotto il nome Eros Ghiggia, aveva pubblicato l’immagine minacciosa di un teschio incappucciato e si mostrava in foto che lo ritraevano con vari travisamenti del volto. Ne era nata col misterioso personaggio un’accesa discussione. Bella, inoltre, aveva pubblicato sul suo blog “Il delitto” l’articolo di un collaboratore che mostrava un video diffuso dalla squadra mobile di Milano nella speranza che alcuno vi riconoscesse l’assassino mentre si allontanava, incappucciato, dal luogo dell’omicidio; e riferiva della discussione scoppiata nel gruppo di Facebook.
Il sedicente Eros Ghiggia era successivamente sparito, dopo di che l’attore porno, senza che fosse mai stato chiamato in causa, aveva querelato il giornalista e la Bruzzone, quest’ultima per avere condiviso nel suo profilo Facebook l’articolo apparso su “Il delitto”, ma senza commentarlo. Il querelante - assistito dall’avv. Maria Antonietta Labianca - si era quindi opposto alla richiesta di archiviazione del pm Gianluca Prisco, determinando l’udienza di stamani davanti al Gip.
La class action contro la Bruzzone è stata perorata sostenendo che la stessa abbia compiuto ripetuti atti persecutori contro "innocentisti" e sia stata in passato prosciolta da ogni accusa per oscure compiacenze dei pubblici ministeri, che avrebbero sempre chiesto l’archiviazione dei procedimenti: un'accusa grave e incredibile. La “class action” è tuttavia un’azione legale collettiva consentita ai consumatori in base alla legge 244 del 2007 e rientra nelle materie civilistiche, per cui la richiesta formulata davanti al Gip, in sede penale, sembra una trovata pubblicitaria.
Gli avvocati Calogero Agozzino e Serena Gasperini hanno sostenuto l’inammissibilità dell’opposizione del querelante e chiesto nel merito l’archiviazione del procedimento per manifesta infondatezza. Bella ha inoltre chiesto di procedere a carico del querelante per calunnia, avendolo accusato “nella consapevolezza di incolparlo – come sostenuto dall’avv. Agozzino - di una pluralità di reati pur sapendolo innocente e ciò ha fatto con voluta e maliziosa omissione narrativa ed attribuendogli anche atti persecutori e la responsabilità di un articolo che sapeva essere stato scritto, come risulta dalla stessa documentazione prodotta dal querelante, da altro autore”.
“Che alcuno, in quanto innocentista, possa ritenersi perseguitato dai miei articoli sulla condanna di Massimo Bossetti - ha detto Bella - è ridicolo. Preferisco non commentare certi mitomani”.
L’ordinanza del Gip è attesa per i prossimi giorni
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C’è ancora una storia da scoprire sul colpo di pistola che nel 2015 ha ucciso Marco Vannini a Ladispoli: è stato uno sparo accidentale come sostiene l’indagato Antonio Ciontoli, o si è trattato di un omicidio volontario? Non sarà facile avere una risposta all’inquietante interrogativo, appena affidato dalla Cassazione a un nuovo processo, il terzo, che dovrebbe essere celebrato entro l’anno.
Il giovane, com’è noto, era fidanzato di Martina Ciontoli, figlia di Antonio. Si trovava nella loro casa quando fu ferito e lasciato a lungo senza aiuto, con atroci sofferenze. La lentezza dei soccorsi, richiesti tardivamente, ha poi suscitato enorme indignazione: Marco infatti sarebbe stato salvato se da quella casa avessero subito segnalato che aveva una pallottola nel torace. I giudici si sono divisi sulla questione: Ciontoli è stato condannato in primo grado a 15 anni, ma in appello s’è vista ridurre la pena a 5 anni.
Leggi tutto: Marco Vannini, vigliaccherie e girandole di cialtroni
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Strascico clamoroso sull’omicidio del 2017 a Villa Litta di Milano, vittima Marilena Negri: un attore pornografico accusa di stalking e diffamazione la criminologa Roberta Bruzzone e il giornalista e scrittore Salvo Bella; ma il Pm di Milano Gianluca Prisco chiede l’archiviazione del procedimento per assoluta infondatezza.
“Penso che questa persona - commenta Salvo Bella, difeso dall’avv. Calogero Agozzino - cercasse pubblicità gratuita. Non si capisce infatti perché si lamenti sapendo bene che non mi sono occupato mai di lui né l’ho nominato”.
La criminologa Roberta Bruzzone - difesa dall’avv. Serena Gasperini - ha annunciato a sua volta un’ampia documentazione dalla quale emergerebbe invece di essere stata perseguitata dall’attore, che ha in passato querelato.
La curiosa vicenda risale a due anni fa, allorquando la squadra mobile di Milano diffuse il video di uno sconosciuto incappucciato mentre si allontanava da Villa Litta subito dopo l’omicidio della signora Marilena Negri. L’appello della polizia fu diffuso dai giornali. In un post del gruppo pubblico di Facebook “Forconi e pecore”, amministrato dal giornalista Salvo Bella, alcuni utenti segnalarono che l’uomo del video (poi mai identificato) somigliava a un soggetto che, sotto il nome Eros Ghiggia, aveva pubblicato il montaggio fotografico di un teschio incappucciato, accompagnato da un messaggio minaccioso di genere satanico; e in più in alcune foto si mostrava mentre calava in testa dei cappucci. Bella chiamò in causa il Ghiggia, che reagì minacciandolo di farlo saltare in aria con una bomba, dando luogo a un’accesa discussione, della quale diede notizia la stampa.
L’attore E. B. presentò per quei fatti querela, ritenendo di essere stato indicato come autore di un omicidio e perciò diffamato, anche attraverso un articolo pubblicato sul blog “Il delitto”, diretto da Salvo Bella. Definendosi appassionato di delitti e “innocentista”, il querelante sostiene anche di avere subìto atti persecutori da parte di Roberta Bruzzone per le sue posizioni su alcuni fatti criminali, nonché da parte del Bella con i suoi articoli sulla condanna di Massimo Bossetti all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio.
La nota criminologa è stata chiamata inoltre in causa dall’attore con le stesse accuse di diffamazione aggravata, per i commenti di alcuni utenti all’articolo apparso su “Il delitto”, che la Bruzzone aveva condiviso nel proprio profilo Facebook.
Secondo la Procura di Milano, i fatti sono stati riferiti dal querelante in modo frammentario, utilizzando frasi del giornalista che appaiono estrapolate e sembrano frutto evidente di reazione ad aspri insulti; né traspaiono in sostanza notizie di reato per le quali si possa procedere a carico del Bella e della Bruzzone per ciò che è stato scritto da altre persone.
E. B. si è opposto alla richiesta di archiviazione, sulla quale il 13 febbraio dovrà decidere a Milano il gip Anna Calabi.
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I pesanti attacchi “a tratti deliranti” rivolti su Facebook a un giornalista, anche associandolo a una “sponda mafiosa”, non sono lesivi “della reputazione di un professionista intellettuale”: con questa motivazione il gip di Milano Natalia Imarisio ha archiviato un procedimento intentato dal giornalista e scrittore Salvo Bella per diffamazione aggravata contro ventinove persone.
I fatti risalgono al 2017, allorquando gruppi di innocentisti scatenarono una scorribanda di insulti contro cronisti che avevano firmato articoli sulla condanna di Massimo Bossetti per l’uccisione di Yara Gambirasio. Gli attacchi non risparmiarono neanche i giudici.
Facebook, alla quale si era rivolta la magistratura, non ha fornito informazioni per l’identificazione delle persone querelate, poiché negli Stati Uniti la diffamazione non costituisce reato e in più i dati delle connessioni vengono conservati dalla società americana solo per novanta giorni, ormai ampiamente trascorsi a causa delle lungaggini della giustizia. Ciò aveva indotto quest’anno il pm a chiedere l’archiviazione, contro la quale si è opposto il giornalista, sostenendo che potevano essere svolte altre indagini e fornendo egli stesso i dati identificativi di alcuni dei presunti responsabili.
Secondo il gip, però, nella vicenda il limite di tollerabilità degli insulti si innalzava perché in un articolo sull’omicidio Gambirasio il Bella aveva assunto “una posizione netta”: in realtà aveva solo scritto, condividendole, delle motivazioni con le quali la Corte d’Assise d’appello di Brescia aveva confermato la condanna di Massimo Bossetti all’ergastolo. Da un lato, dunque, il giornalista può essere insultato; e dall’altro le “accuse”, si legge nella motivazione, “sono (oltre che per la forma talora talmente sgrammaticata da essere scarsamente intelleggibile), per il loro contenuto abnorme – a tratti delirante o in alternativa chiaramente provocatorio – come quando la parte offesa viene associata alla sponda mafiosa – e per il contesto – certamente non professionale – in cui sono state espresse, talmente poco credibili e/o comprensibili da non risultare in concreto lesive della reputazione di un professionista intellettuale”; come dire: tu sei un professionista, mica puoi prendertela se a insultarti sono dei cialtroni!
Il giudice ha inoltre ritenuto che “con riferimento alle espressioni insultanti nei confronti di soggetti svolgenti attività di ampia risonanza pubblica la Suprema Corte ha riconosciuto la non riconducibilità al delitto di diffamazione quando non risulti con certezza che l’autore del fatto abbia inteso riferirsi alla persona in sé e non al suo comportamento come uomo pubblico”. La sentenza si riferiva tuttavia a una diatriba fra politici investiti di incarico pubblico in un Comune, anziché a un fatto di cyberbullismo contro il giornalista autore di articoli su una sentenza penale di condanna per omicidio.
Dall’ordinanza di archiviazione firmata a Milano sembra infine che gli insulti non possano ledere l’immagine di un giornalista e scrittore se è “un professioinista intellettuale”, una discriminante che sembra paradossale ed è destinata a suscitare polemiche: la professione sarebbe a rischio, infatti, se passasse il concetto che orde di facinorosi scalmanati, anche pregiudicati, possono insultare e minacciare liberamente i cronisti senza finire a processo.
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Bontà da un lato e vigliaccheria dall’altro sono le due facce della tragica uccisione dei due poliziotti alla questura di Trieste: morti non da eroi, come si vorrebbe sostenere, e nemmeno vittime di imprevedibile follia; ma uomini normali, prima che tutori dell’ordine, che semplicemente immaginano nel prossimo i princìpi di rispetto umano sui quali fondano la propria vita; e anche martiri di un sistema alla chetichella, incapace di fare ammenda e di provvedere.
L’imprevedibilità della ferocia con la quale un criminale - che ora si vuol far passare per pazzo - si è accanito contro gli agenti Pierluigi Rotta e Matteo De Menego non spiega apparentemente la convulsa dinamica di una aggressione che ha dell’incredibile e non spiega nemmeno il panico dei minuti successivi. Una polemica scatenata da sindacati di polizia sulla inadeguatezza presunta delle fondine in dotazione ai poliziotti disarmati dall’aggressore fa da paravento ai veri problemi; e in uguale misura finiscono con l’essere fuorvianti le divagazioni di chi dall’alto si limita a dichiarare che non si sa, perché mancano testimoni oculari, quasi che la strage sia stata compiuta in una trazzera solitaria anziché all’interno di una grande questura italiana.
La verità potrebbe essere ben diversa, perché due poliziotti non dovrebbero mai finire sopraffatti nemmeno da un energumeno.
Leggi tutto: Martiri di un sistema i due poliziotti uccisi a Trieste
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È morto oggi a Bologna il falso criminologo Giuseppe Gassi, che avrebbe dovuto rispondere, in due processi, di minacce di morte alla vera criminologa Roberta Bruzzone e al giornalista e scrittore Salvo Bella. Aveva 65 anni, viveva a Turi in provincia di Bari ed era noto per alcune campagne innocentiste a sostegno di Massimo Bossetti, Sabrina Misseri e altre persone condannate all’ergastolo per omicidio.
Leggi tutto: Morto falso criminologo sotto processo per minacce di morte
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Non c’è nulla di oscuro nelle circostanze dell’uccisione del vice brigadiere Mario Rega Cerciello a Roma, tragico epilogo della scorribanda miserabile e della malvagità di un manipolo di violenti che il cuore nobile di un carabiniere non avrebbe potuto immaginare.
Sono ridicole le polemiche fomentate sulla etnia degli assassini: che nelle prime fasi delle indagini fossero ritenuti africani o italiani non cambia la virulenza e le cause dell’aggressione mortale; eppure non pochi parlamentari si sono scatenati con toni razzisti gridando contro gli immigrati africani, perché siano mandati ai lavori forzati o addirittura condannati a morte. L’ondata di certo populismo favorisce becere speculazioni anche da parte di personaggi al potere, che confidando nella creduloneria nascondono la gravità dei problemi: sono proprio loro, infatti, i responsabili dello sfascio progressivo della giustizia, che per garantismo lascia a spasso i delinquenti vanificando il lavoro di chi li ferma.
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I tribunali sono intasati di processi per minacce di morte a magistrati e giornalisti diffuse attraverso Facebook, che non ha censurato messaggi pericolosi e truculenti mentre, invece, si picca di oscurare la foto di un culo e addirittura sospende per aver menzionato il negozio di un signor Ricchioni. Sembra il brutto andazzo della peggiore politica, che non butta fuori i ladri nemmeno dopo l’intervento della magistratura.
I paradossi del più diffuso social sono l’esito nefasto di sistemi informatici che rilevano l’uso di parole messe al bando, ma anche effetto dell’inadeguatezza di strani team di revisione incapaci di comprendere il contesto e di andare perciò oltre le formule.
Se non ti piace non leggere più quel post
Chi segnala insulti o minacce si sente rispondere da Facebook con un messaggio automatico che lo invita a non leggere più un post che non gli piace, che può essere letto comunque in eterno in tutto il mondo; perché la diffamazione non è reato in California, dove ha sede il colosso.
Leggi tutto: Fb non censura minacce di morte ma vuole le donne in mutandoni
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Il cadavere di Roberta Ragusa, sparita di notte da casa il 14 gennaio 2012 a Gallo San Giuliano in provincia di Pisa, non è stato mai trovato; ma ci sono le prove che è stata uccisa e l’assassino è il marito Antonio Logli. L’ha stabilito in via definitiva la Cassazione, confermando la condanna dell’uomo a vent’anni di reclusione.
A nulla sono valsi i tentativi di inficiare l’attendibilità dei testimoni e in particolar modo del giostraio Loris Gozzi, le cui deposizioni sono risultate schiaccianti nelle serrate ricostruzioni della procura della repubblica di Pisa.
Le ultime battute di questa vicenda giudiziaria hanno del grottesco: Antonio Logli, infatti, ha sempre respinto ogni accusa, sostenendo l’ipotesi dell’allontanamento volontario della moglie; ma la difesa aveva chiesto in via subordinata che, se non assolto, lo si condannasse eventualmente per omicidio preterintenzionale o colposo. Ma dove ha distrutto e occultato il cadavere?
L’omicidio secondo i giudici ha tratto origine da motivi di interesse in una relazione extraconiugale che ha dell’allucinante: la strana tresca di Logli con Sara Calzolaio, una giovane quanto un armadio che già allora non aveva proprio nulla di avvenente nel pensiero e nel fisico, proprio l’opposto di Roberta, una madre di famiglia che quanti la conoscevano hanno sempre descritto come una donna modello nella vita e nel lavoro.
Vent’anni di carcere sono pochi. Logli aveva sempre detto di credere che la moglie sarebbe prima o poi tornata; e addirittura di sperarlo. Ma s’era portata in casa, come se nulla fosse, l’amante: in molti la definiscono inconsapevole e tuttavia non si comprende come, sebbene per amore, abbia potuto vivere a cuor sereno con l'uomo accusato di avere ucciso per lei la moglie innocente.
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Trenta giorni di sospensione dell’amministratore per odio sessista, gruppo avvisato e a rischio di chiusura: questa l’incredibile punizione comminata da Facebook al giornalista Salvo Bella e a “Forconi e pecore” per avere pubblicato in un post la foto dell’insegna curiosa di un negozio con la scritta “Ricchioni dal 1962”.
Il post, pubblicato il 26 giugno alle ore 15.52, faceva parte di una serie di titoli curiosi o umoristici, prevalentemente di giornali, nomi di strade e insegne di negozi; e appare evidente che non aveva alcun intento lesivo.
Leggi tutto: Facebook censura l’insegna “Ricchioni dal 1962”
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Un magistrato indagato a Caltanissetta per falso ha firmato ad Agrigento la perla che considera arbitrario l’arresto di Carola effettuato a Lampedusa dalla guardia di finanza. Non ci voleva proprio questa sconcertante vicenda, che si aggiunge alle turbolenze e agli scandali della giustizia. Non è la sconfitta di Matteo Salvini, ma un altro obbrobrioso episodio di politica nelle aule giudiziarie, dove all’applicazione delle leggi si possono sovrapporre interpretazioni che lasciano allibiti i cittadini di buon senso, abituati ad assistere spesso ad accanimenti scellerati verso poveri disgraziati e a distrazioni strane verso criminali.
La questione non è fra la libertà a una ragazzetta tedesca che ancora non è stata condannata e l’opportunità di rinchiuderla invece in carcere per motivi cautelari. A sconcertare è l’audacia con la quale un magistrato ha potuto ritenere che una persona, per di più straniera in territorio italiano, possa violare le nostre leggi per un discutibilissimo “stato di necessità”; ipotesi che al massimo avrebbe potuto consentire di oltrepassare un incrocio con semaforo rosso ma non anche di forzare blocchi e infischiarsene ai ripetuti ordini di fermarsi.
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- Scritto da Mario Schembari
Andrà a giudizio in due processi un fabbro che spacciandosi per esperto criminologo minacciò l’anno scorso una vera criminologa, Roberta Bruzzone, annunciando su Facebook in regalo per la Befana un cappio al collo per lei, per giudici e per il giornalista e scrittore Salvo Bella.
Si chiama Giuseppe Gassi, pugliese di Turi, 64 anni, l’uomo raggiunto per questi fatti da due decreti di citazione emessi a conclusione di indagini da due Procure diverse. Sarà giudicato il 20 novembre dal tribunale di Bari e successivamente da quello di Busto Arsizio, dove dovrà rispondere di minacce di morte e diffamazione aggravata.
I procedimenti hanno tratto origine da uno scritto apparso il 6 gennaio 2018 nella pagina di Facebook “Sabrina libera adesso”, riferita alla giovane Sabrina Misseri condannata all’ergastolo per avere ucciso nel 2010 ad Avetrana la cugina Sarah Scazzi. Dietro quel “fake” si celava proprio il Gassi. Pur essendo un fabbro privo di studi e di titoli, peraltro con qualche trascorso penale, vantando di essere un esperto criminologo sostiene da tempo l’innocenza della Misseri e di altri autori di omicidio, come Giuseppe Bossetti.
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I cinque anni ad Antonio Ciontoli per l’uccisione di Marco Vannini sono il massimo della pena per omicidio colposo. L’emotività fa gridare allo scandalo, perché la morte violenta di un giovane non può essere pagata a così misero prezzo. L’erogazione delle pene, tuttavia, va fatta processualmente secondo precisi parametri stabiliti dal codice penale, con margini ristrettissimi di discrezionalità per i giudici; ma anche da questo punmto di vista la sentenza è stata generosa.
Il bailamme di alcune trasmissioni televisive insiste sui misteri di ciò che realmente accadde la sera del 14 maggio 2015 a Ladispoli in casa Ciontoli, dove Vannini fu ferito mortalmente con un colpo di pistola. La ricostruzione non è delle più lineari, basata com’è sulle dichiarazioni contrastanti di quanti si trovavano nell’abitazione e più o meno ebbero perciò la consapevolezza di ciò che era accaduto. La richiesta di soccorso non fu tempestiva e ci si adoperò per tentare di nascondere che era stato esploso il colpo di arma da fuoco. Se la verità fosse emersa subito, Marco poteva essere forse salvato, forse no.
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