Dopo 30 anni di latitanza Matteo Messina Denaro è finito in carcere alzando le mani ai carabinieri come avevano fatto gli altri boss di Cosa Nostra. Preso quasi a un appuntamento, era disarmato, non si faceva proteggere da guardaspalle e, senza opporre resistenza, ha detto subito di essere il super padrino che stavano cercando.
Totò Riina fu catturato il 15 gennaio 1993 a Palermo mentre si spostava in auto, grazie, si disse, all’imbeccata del suo ex autista che dalla Sicilia era fuggito a Torino sapendo che la mafia aveva decretato la sua morte. L’operazione fu la più importante di quell’epoca, ma semplice ben più di quanto si potesse immaginare. Il più ricercato d’Italia, infatti, s’era mosso in precedenza in auto da una parte all’altra della Sicilia, ma facendosi sempre precedere e seguire da altre vetture con uomini protetti da giubbotti antiproiettile e armati di fucili mitragliatori e bombe; in tal modo alla periferia di Catania, dove si recava a un summit, era sfuggito alla cattura grazie al suo commando, che aveva ingaggiato un sanguinoso conflitto a fuoco con due coraggiosi carabinieri.
Il 18 maggio 1993 in un antico palazzo di campagna di Mazzarrone, in provincia di Catania, toccò a Benedetto Santapaola. Anche lui non oppose resistenza agli agenti dello Sco diretto allora dal questore Antonio Manganelli, poi diventato capo della polizia; e nel suo nascondiglio non era protetto da complici e nemmeno da vedette che potessero segnalare l’arrivo di carabinieri o poliziotti. Eppure a Catania era stato coinvolto più volte in aspri scontri armati fra malavitosi rivali e non s’era mai trovato solo.
Bernardo Provenzano, il successore di Totò Riina, fu poi catturato l’11 aprile 2006. Da feroce e pluri assassino, si nascondeva vivendo come un eremita e addirittura di stenti in una masseria di Corleone.
Infine oggi è stata la volta di Matteo Messina Denaro, lo stragista imprendibile e temutissimo, persino da passare ormai per leggendario, un’ombra capace di comandare e di riuscire a farla sempre franca.
Tutti questi padrini sono finiti in carcere quando, ormai ammalati e in precarie condizioni di salute, il loro potere, rimasto appena simbolico, era realmente finito; e per questo hanno alzato le mani, si sono arresi allo Stato che non aveva mai smesso di dare loro la caccia. Comunque siano andate le cose sfociate negli arresti, è stata posta fine a grandi incubi; e per questo meritano un encomio magistrati, carabinieri e poliziotti.